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venerdì 2 dicembre 2011

IL DISTRETTO CULTURALE DI ASCOLI O DELLE “TERRE DELLA PRIMAVERA SACRA”



Proposte per  una valorizzazione eco-sostenibile e sistemica delle risorse culturali del territorio piceno.

Il Distretto Culturale, la globalizzazione, la crisi economica.

Il Distretto Culturale rappresenta una grande opportunità per una paese come l'Italia che non  tutela e valorizza con interventi di tipo sistemico o con una manutenzione programmata ed ordinaria le tante risorse culturali, di cui  è  ricco. Invece sono   gli eventi ( quali olimpiadi, colombiadi, giubilei, expo, campionati di calcio) , le emergenze ( quali  terremoti, alluvioni, disastri ferroviari, etc. etc.) o le sollecitazioni di interessi di parte a guidare l'azione delle pubbliche amministrazioni.
I risultati di questa politica dissennata sono evidenti: duplicazione delle spese, realizzazione di opere spesso inutili o addirittura dannose, immagine deteriorata del Bel Paese.
Una  diversa e più intelligente risposta è fornita dalla realizzazione dei Distretti Culturali , che rappresentano, nel settore della valorizzazione delle risorse culturali del territorio, l'omologo dei tradizionali Distretti Economici.
 Mentre in questi ultimi l'attività si sviluppa normalmente in maniera spontanea, sulla base degli impulsi degli operatori economici, nei Distretti Culturali è necessario l'intervento e il coordinamento di un soggetto pubblico per avviare il processo di valorizzazione. Questa , occorre ripeterlo, si produce effettuando interventi di tipo sistemico al posto delle azioni puntuali, scoordinate o episodiche. In questo modo si favoriscono economie di scala, una efficace e corretta valorizzazione dell'immagine del territorio di riferimento, permettendo il conseguimento di   risultati esaltanti.                                                                                                                       
 La realizzazione dei Distretti Culturali assume una particolare importanza nel mondo della globalizzazione, in cui le economie   con alti costi di produzione risultano pesantemente penalizzate rispetto a quelle caratterizzate da costi  notevolmente inferiori .
Questa differenza  non produceva particolari problemi quando gli elevati costi di trasporto,  le lungaggini e complessità burocratiche,  le chiusure dei mercati, insieme alla complessità e vischiosità dei mezzi di pagamento internazionali e alle antiquate forme di comunicazione, ostacolavano gli scambi.
 Negli ultimi tempi questi ostacoli si sono ridotti in maniera progressiva. Gli scambi, inoltre, sono stati favoriti dalla liberalizzazione adottata a livello internazionale.
È mancata, peraltro, una qualsiasi forma di controllo dei modi di produzione dei paesi a più basso livello di sviluppo, che hanno potuto realizzare le loro attività nella più completa libertà, senza rispetto dei diritti dei lavoratori, delle norme di sicurezza ed ambientali e, quindi,  producendo le loro merci ad un costo molto più basso dei paesi tenuti al rispetto di regole più ferree. La liberalizzazione è stata voluta anche dai grandi capitali internazionali, che, sovente, hanno utilizzato i prodotti acquistati a basso prezzo, per venderli ad un prezzo molto più alto nei paesi più sviluppati. Queste forme di scambio hanno consentito enormi profitti per gli operatori economici, determinando in pari tempo una progressiva disoccupazione nei paesi importatori, con conseguente impoverimento delle classi operaie e dei ceti medi. Comunque, per rendere possibile  l'acquisto dei prodotti, si è fatto ricorso progressivo alla creazione di un credito facile, elargito agli acquirenti impoveriti.
L'immissione forsennata di liquidità nel sistema economico ha permesso uno sviluppo dei consumi eccezionale, basata, peraltro, su una bolla monetaria e creditizia. I crediti elargiti dal sistema bancario, in genere, sono stati garantiti da titoli strutturati, definiti,  correttamente,  “tossici”, diffusi a livello internazionale e sottoscritti, sovente, dagli stessi paesi, come la Cina, esportatori di prodotti a basso costo.
 Quando i nodi sono venuti al pettine, la bolla è scoppiata. Il sistema è entrato in crisi e, quindi, è stato necessario un intervento pubblico per evitare il completo fallimento del sistema bancario e creditizio e di quello economico.
 Da un lato la paura di una crisi inarrestabile, dall'altro l'oggettiva diminuzione del medio circolante hanno determinato una crisi e una riduzione degli acquisti, da cui il sistema economico non è riuscito ancora ad uscire. Potrebbe apparire, quindi, che la globalizzazione sia in crisi e sia un fenomeno superato.
Questa supposizione non appare verosimile. Il sistema degli scambi internazionali si è talmente sviluppato da non consentire un ritorno all'antico o a forme rigorose di protezionismo . Sono probabili, forse,  alcune regole più restrittive, il rispetto della tutela dei lavoratori e delle regole ambientali, ma la libertà degli scambi continuerà sicuramente a caratterizzare i rapporti economici internazionali.
 È per questo che rimane ancora valido il concetto di glocalism”, con cui si fa riferimento a quel fenomeno economico in cui si valorizzano le tipicità locali nei rapporti economici internazionali. Infatti, quando si utilizzano negli scambi le tipicità locali, che altri paesi non hanno, si conserva un vantaggio competitivo, che consente di supplire all'eventuale svantaggio rappresentato da probabili più elevati costi di produzione.
Per questo è da ritenersi che  la realizzazione dei Distretti Culturali rimane ancora valida, pur in un momento come quello attuale, in cui lo sviluppo appare ridotto, gli scambi risultano in crisi, i consumi in calo. La realizzazione dei Distretti Culturali appare, invece, una risposta intelligente e non di tipo regressivo alla crisi economica in atto, perché consente una valorizzazione sistemica ed eco-sostenibile delle risorse tipiche locali tale da creare le condizioni per approfittare del nuovo ciclo economico positivo quando questo si sarà avviato.
Deve comunque rilevarsi che non tutti concordano con queste affermazioni. A parte, infatti, il numero consistente di coloro che vedono con molto scetticismo  le proposte formulate, continuando a privilegiare forme di intervento puntuali o episodiche o, peggio, non considerando in nessuna caso convenienti le attività o gli interventi volti a tutelare e valorizzare le risorse culturali del territorio non ritenuti né utili né necessari, devono essere tenute presenti anche le critiche di coloro che ritengono che la realizzazione di un  Distretto Culturale nei  modi  qui indicati presenti comunque elementi non pienamente condivisibili. In pratica, secondo costoro, un Distretto Culturale non farebbe altro che  favorire la fruizione di una serie di risorse preesistenti, non consentirebbe alcuna forma di innovazione, tenderebbe a creare un mondo fossilizzato, una sorta di grande Disneyland, in pratica un  vero e proprio” paese dei balocchi”.
A comprova di questa affermazione si  fa l’esempio di quanto avviene nelle città  meta di forme aggressive di turismo escursionistico e senza qualità, quali Firenze e Venezia, veri e propri” turisdotti” , aggrediti  da una massa indiscriminata di visitatori, che contribuiscono ad eliminare ed inquinare con la loro presenza ossessiva proprio quegli elementi di specificità e unicità , su cui si fonda la loro grande forza attrattiva.
Gli operatori  economici e gli amministratori, bisogna riconoscerlo, sovente si sono pigramente adagiati in questo sistema pernicioso, facendo perdere a queste famose località la loro fisionomia unica e irripetibile e favorendo forme virulente di inquinamento turistico.
Da qui l’omologazione delle caratteristiche dei luoghi frequentati da interrotti flussi turistici, la presenza seriale di esercizi commerciali uniformi completamente decontestualizzati , la vendita di prodotti dozzinali per niente legati alle tradizioni e alla cultura del territorio, la quasi completa impossibilità di forme minime di scambi culturali tra visitatori e residenti.
Indiscutibilmente questi rilievi e critiche appaiono pertinenti .E’ da tener presente, peraltro, che  l’eventuale realizzazione del Distretto Culturale  mira al conseguimento di obiettivi del tutto differenti da quelli che concretamente si sono affermati negli esempi sopra indicati e negli episodi di “ Turisdotto”.

 Nel Distretto Culturale, infatti, si tende  in primo luogo a tutelate le risorse tipiche del territorio, utilizzando tutti gli strumenti più efficaci e innovativi per valorizzarle e renderle fruibili al meglio. Si pone mano quindi ad una serie di azioni che non  si limitano a conservare in maniera fossilizzata il patrimonio esistente. Si individuano invece e si utilizzano strumenti capaci di esaltare questi elementi  che  consentono la differenziazione delle risorse rispetto ad altri contesti, esaltano la  vocazioni uniche del territorio, consentono l’emergere e valorizzazione di nuove professionalità.
Tenendo presente un aspetto fondamentale del processo che mira a creare un ambiente e una qualità della vita fruiti in primo luogo proprio dagli abitanti del territorio.
I turisti e visitatori potranno fruire , pertanto, non di un qualcosa di artificiale preparato per loro. Sarà consentita loro, invece, l’opportunità di entrare in un rapporto di scambio culturale ed umano  con gli abitanti del posto.
Va infine tenuto conto di un altro fondamentale elemento di positività rappresentato dall’acquisita forza di attrazione del territorio del Distretto , che permetterà di richiamare i creativi, gli uomini di cultura, gli artisti, i ricercatori, con la possibilità, quindi, di favorire lo sviluppo della conoscenza, della ricerca , dell’innovazione.
Queste considerazioni meritano un approfondimento.


Né Disneyland , né un Paese dei Balocchi : una proposta rivoluzionaria…….  un’utopia, forse.


Se si considera  ciò che occorre fare per  avviare il processo di realizzazione di un Distretto Culturale, si deve convenire che, tenuto conto delle condizioni in cui versa attualmente il nostro  paese, è abbastanza difficile che la proposta possa diventare una “realtà”, fermandosi invece allo stato di una sterile “utopia”.
In particolare se si tiene conto che si tratta di  effettuare una vera e propria rivoluzione a 360° gradi nelle modalità di utilizzazione delle risorse che arricchiscono il nostro paese, passando dall’opzione del consumo scriteriato, episodico e speculativo, a quella del loro rispetto e tutela sulla base delle vocazioni, dei valori storici consolidati sì da favorire la creazione di una ricchezza solida e duratura a vantaggio e con la partecipazione convinta di tutta la comunità, in modo da non consentire che si continui a tutelare  gli interessi e la cupidigia dei soliti noti e delle tradizionali camarille affaristiche.
Si dovrà, per prima cosa, porre finalmente un termine  al consumo del territorio, cioè  per intenderci, scegliere l’opzione del “ consumo zero”, dedicandosi ad una azione efficace, progressiva e di lunga durata, di recupero e restauro urbano ed ambientale. Basando questa lungimirante azione sui principi della tutela e rispetto dei valori del paesaggio, dell’ambiente, della sicurezza sismica, delle emergenze storiche, monumentali, artistiche, architettoniche, urbane e delle vocazioni  più autentiche del territorio agrario consolidatesi  e arricchitesi nel corso di civilizzazioni millenarie. Elaborando progetti che eliminino  o almeno riducano in termini accettabili gli attuali  assurdi  sistemi di mobilità , che costringono milioni di cittadini ad un vero e proprio consumo della propria esistenza solo per svolgere l’indispensabile attività lavorativa necessaria per la loro stretta sopravvivenza. Elaborando strategie per recuperare tutte quelle attività manuali, artigianali, se non  addirittura artistiche, legate alla utilizzazione dei materiali tipici delle singole località, alle tradizioni consolidatesi nel corso dei secoli, in modo da rendere immediatamente percepibile l’intimo ed indissolubile legame tra quanto prodotto e la secolare cultura del territorio.
Salvaguardando quello che resta del commovente paesaggio  che faceva indicare il nostro paese come il “Giardino d’Europa” e ora ridottosi a  sparsi “lacerti” progressivamente aggrediti da forme progressive di metastasi edilizia.
Recuperando e  salvando dall’oblio e dalla distruzione tutto l’enorme patrimonio di cultura musicale, letteraria, artistica, monumentale accumulatosi nel corso di secoli di civilizzazione, alla cui conservazione e valorizzazione  vengono, per lo più, destinate esigue risorse, sovente utilizzate anche in maniera incongrua e” pressappochista”. 
Riconsiderando il problema del turismo, mediante l’elaborazione di strategie che non lo riducano ad un fenomeno di mera quantità , a velocissime escursioni, alla paccottiglia dei “souvenir” senza alcun legame con il territorio, bensì lo rendano strumento vitale di scambio di esperienze culturali  tra comunità e visitatori.
Prevedendo in pari tempo la riqualificazione del sistema residenziale turistico ed enogastronomico, che valorizzi  e privilegi strutture espressione vera della tradizioni e più autentiche del territorio e non forme  allo stesso completamente estranee e del tutto decontestualizzate.
E, in pari tempo, individuando forme sempre più sofisticate per rendere fruibili  in maniera attiva le ricchezze del territorio con la messa in rete dei siti, momenti innovativi di accesso e fruizione, capacità di  riprodurre le immagini e  gli oggetti con un minimo di valore artigianale se non artistico.
E, infine, elaborando progetti innovativi e immaginifici che consentano di utilizzare tutto un universo di ricchi contenitori , presenti in ogni angolo d’Italia, per organizzare manifestazioni di qualità , non  effimere o di mero consumo, innovatori laboratori votati alla riscoperta di antiche tradizioni e alla individuazione di nuove forme espressive.
Insomma un universo di iniziative, di scoperte, di progetti entusiasmanti, in cui coinvolgere le nuove generazioni, le antiche sapienze, le consolidate esperienze, fuori da ogni accademismo e formalità, in maniera libera, aperta, concorrenziale, dinamica.
 Chi dovrebbe realizzare questa vera e propria rivoluzione ?
E’ presente in Italia, in questo momento, una classe dirigente  capace di avviare un processo così dirompente rispetto all’attività di mero consumo, che sia capace di eliminare gli  ostacoli posti alla valorizzazione  dei saperi e  dei talenti ora presenti in maniera intollerabile ?
Sono leciti dubbi e pessimismo.
Vediamo, infatti, gli elementi che sono il sostrato umano , storico e culturale e che determinano questo stato di cose: una comunità sostanzialmente a-cristiana, in cui al virulento   localismo egoistico , si contrappone, sovente, la forza eversiva dei poteri  della criminalità organizzata, con il condimento perverso e tradizionale del” familismo amorale “, retaggio del “ particulare”, già individuato dal Guicciardini e frutto probabile del secolare dominio esercitato sul paese da potenze straniere, che si sostanzia, per le classi subalterne, nella convinzione della convenienza ad adeguarsi comunque a quanto esplicitato dalla famosa frase  “ Franza o Spagna purché se magna”. Si aggiungano , poi,  i poteri delle consorterie oscure e segrete, laiche e non, i rigurgiti reazionari desiderosi di modificare addirittura i sacri principi della Costituzione Repubblicana e, cosa più grave , l’anticultura e l’analfabetismo  di massa, se è vero quanto sostenuto  da Tullio de Mauro, secondo cui  non più del 20  per cento della popolazione” sa veramente leggere, scrivere e contare” e forse una percentuale ancora minore  è quella in grado  di intendere pienamente il significato di quanto letto.
Dobbiamo chiederci : è proprio certo che tutti i  nominati  negli organi rappresentativi siano compresi nel ridotto numero di coloro che comprendono il reale significato di quanto letto ?
E se fosse invece esatto il contrario ?
Allora  troverebbe una spiegazione il fatto che si possa ritenere ed affermare che la cultura , la ricerca , l’innovazione siano inutili e non  producono  ricchezza”.
E si comprenderebbe il motivo per cui, con tanta noncuranza e vergognosa disattenzione, si permetta che tutto quanto fa grande il nostro Bel Paese venga abbandonato al degrado, alla distruzione, all’oblio e che vengano progressivamente ridotte le risorse destinate alla scuola, alle università, ai centri di ricerca, alla innovazione, insomma alla cultura.
Non ci sono altre spiegazioni che possano giustificare quello che accade.
Come uscire da questo pantano ?
E’mai possibile che una comunità con il livello culturale evidenziato dalle ricerche di Tullio de Mauro possa dare una scossa al sistema e avviare un processo che, come sopra indicato, rappresenta una vera e propria rivoluzione di comportamenti e di scelte?
Può verificarsi questo cambiamento straordinario ed epocale ad opera di una comunità che , a detta di alcuni pare colpita della sindrome dei “pensionati mentali” e che, per giunta, risulta fuorviata da messaggi gretti e populistici, veicolati dai mezzi di comunicazione di facile accesso, come la televisione,  di norma permeati di contenuti evanescenti, diseducativi, sovente veri e propri  strumenti adottati per cloroformizzare le coscienze e renderle dipendenti e acritiche ?
Si aggiunga a  tutto ciò la progressiva situazione di sostanziale crisi della altre agenzie fondamentali quali la scuola, la famiglia, la stessa chiesa e gli stessi  laboratori artigianali e agricoli un tempo fucina di insegnamenti rigorosi, di comportamenti leali, di professionalità inimmaginabili.
Pure , a fronte di un panorama così drammatico, il paese combatte , non si arrende. E’ la solita vitalità dei singoli, delle piccole comunità, delle intelligenze isolate e coraggiose. Manca, invece, il sostegno di sistema, quello che addirittura penalizza le iniziative e le vitalità più dirompenti, consentendo  che queste ultime appena si affermano  vengano, come purtroppo è successo tante volte, acquistate da capitali e imprese straniere.
E anche le Associazioni culturali e di tutela, come Italia Nostra, che pure hanno cercato con il loro diuturno impegno di contrastare queste derive di autodistruzione, poco sono riuscite a salvare, poco a contrastare.
Anzi sovente sono state indicate come le nemiche del progresso, di essere i rappresentanti della cosiddetta “Italia No”.
Deve convenirsi che probabilmente si sia commesso qualche errore  nelle modalità di comunicazione e nella  forma dei messaggi. Limitarsi, infatti, a parlare dei valori del “ bello” ad una maggioranza che sovente forse non è  in grado di intendere il significato di quanto letto o addirittura è compresa nel numero di quanti non leggono o non sono in grado di leggere, può rivelarsi una pura perdita di tempo. Specie se tiene presente che, come accennato, gli strumenti di più facile comunicazione, la televisione in  particolare, non danno spazio ai messaggi di approfondimento, privilegiando i programmi di evasione, da quelli volgari come  “i grandi fratelli”, “ai pacchi ricchi di denaro guadagnato senza sforzo alcuno”,  “alle  isole dei famosi”, in cui si espongono le proprie grazie in ambienti esotici e luminosi, oppure esibendo per ore e ore lo spettacolo  di giovani aitanti che rincorrono su un verde prato un incolpevole sfera di cuoio aggredita con malvagia violenza.
Eppure non bisogna disperare. C’è la possibilità di iniziare un nuovo percorso.
Bisogna però superare il contrasto tra gli amanti del “ bello”, i pochi eletti, e gli altri che  si ritiene che non ne capiscano l’importanza.
Invece di continuare in questa sterile contrapposizione, si deve proporre la scelta tra due opzioni economiche: quella che  indica nella tutela, conservazione e fruizione intelligente e dinamica delle risorse  culturali del territorio il modello di sviluppo conveniente, e quella che  insiste nella criminogena attività di distruzione del paesaggio, della memoria storica, delle tradizioni , dei saperi e fa dipendere tutto lo sviluppo dalla proliferazione edilizia indiscriminata, dal favore reso alle solite camarille e al privilegio accordato alle rendite di posizione e parassitarie.
E proprio la proposta di realizzazione del Distretti Culturali, partendo dalle singole realtà periferiche, più vicine agli interessi alla sensibilità delle comunità ivi presenti, potrebbe essere lo strumento efficace, il grimaldello, per superare la situazione bloccata, che caratterizza la disastrosa condizione  attuale del nostro paese.
Si dovranno, pertanto,  elaborare strategie efficaci per far comprendere proprio la convenienza economica di queste scelte, coinvolgendo in questo entusiasmante progetto in primo luogo i giovani  e, poi, le famiglie allargando  progressivamente e con un lavoro metodico  che parte dal basso, la platea dei destinatari di questi messaggi innovativi. E’ probabile che questo approccio concreto e coinvolgente possa consentire anche alla maggioranza che ora  non ritiene particolarmente interessante la tutela del bello, di cui, come già detto, probabilmente non  si comprende  il valore e significato, di scegliere la diversa opzione, presentata come “una scelta economica conveniente e concretamente confrontabile con le altre proposte ora indicate come le uniche possibili e irrinunciabili”. E’ da ritenere, infatti, che questo approccio pragmatico, questo partire dal basso  con proposte concrete, evidenziando proprio la convenienza economica di comportamenti più corretti e più civili possa realmente far aprire gli occhi ad una comunità fuorviata da messaggi distorti e  di forte spessore negativo.
E, d’altra parte, non si vede, per esempio, per quale motivo i cittadini della capitale dovrebbero opporsi alla riqualificazione delle periferie immonde; o non opporsi alla distruzione progressiva di quello che resta della  mitica “ campagna romana” oppure accettare di essere privati di una parte considerevole della propria esistenza trascorrendo in “scatole di latta” in eterno movimento  strade senz’anima solo per recarsi sul posto di lavoro. E, a fronte di altre soluzioni più civili ed ecocompatibili, illustrate in maniera concreta e comprensibile, le mamme che vivono nella metropoli lombarda saranno ancora disposte ad accettare che i propri figli continuino a subire i danni gravissimi prodotti da un inquinamento senza limiti, che aumenta sempre di più insieme alla progressiva  cementificazione di ogni spazio ancora libero ?
E  a Milano si accetterà, senza un minimo di reazione, che si realizzi un parcheggio addirittura sotto l’edificio più sacro della città, dove riposano le spoglie di Sant’Ambrogio ?
E nel Veneto, la  terra delle aspre incantevoli vette dolomitiche, delle dolci colline, della pianura solcata da limpidi corsi d’acqua, della vaporosa laguna dove come per un miraggio si intravede l’incantevole Venezia, si accetterà ancora che tutto venga stuprato e che si diffonda una metastasi edilizia e di calcestruzzo che tutto distrugge e annulla ?
E  si accetterà ancora che tutte le coste dell’amato Belpaese siano cementificate sin sulla battigia, dall’Adriatico al  Tirreno, dalla Liguria alla Sicilia in  un universo di abbrutimento e distruzione ?
Questa presa di coscienza, la possibilità di fare una scelta differente, che oltre tutto produrrebbe una ricchezza più solida e duratura, democraticamente diffusa, è probabile che possa consentire di aprire l’anima alla speranza, avviare un lungo e complesso processo per migliorare la qualità della vita, creare le condizioni per ostacolare gli interessi di corte vedute, i ciechi egoismi, i miasmi dell’anticultura.
Insomma si potranno creare le condizioni per una vera e propria rivoluzione culturale che parte dal basso e  favorire il passaggio dallo stadio della  Subcultura delle rendite parassitarie”  a quello dell’autentica “ Cultura del nuovi ceti produttivi democratici, diffusi, aperti agli impulsi dell’innovazione, della ricerca, della tolleranza”.

Le risorse culturali e i confini del Distretto Culturale di Ascoli.
La realizzazione di un Distretto Culturale presenta notevoli elementi di complessità e di difficoltà. Uno dei primi problemi da risolvere è quello dell'individuazione delle risorse culturali esistenti nel territorio.
 L'individuazione di queste risorse va effettuata contestualmente alla definizione dei confini del Distretto. A riguardo appare particolarmente opportuno che, nella individuazione di questi ultimi, si eviti il loro allargamento comprendendo territori disomogenei, che non consentirebbero la creazione di un'immagine o marchio del Distretto immediatamente percepibili. È per questo che, nella indicazione dei confini del Distretto di Ascoli, si è ritenuto di non comprendere la zona costiera per evitare che l'immagine del sistema balneare, con proprie caratteristiche e con una forte capacità di attrazione, potesse indebolire quella della parte interna, con caratteristiche differenti e con valori non ancora del tutto affermati.
 Il Distretto Culturale di Ascoli si basa fondamentalmente sull'importante centro storico della città, che si trova proprio al centro di un ampio territorio, che comprende, verso l'interno, un sistema montano particolarmente pregiato con,  a sud la Montagna dei Fiori e il Colle S. Marco, ad ovest i due Parchi Nazionali dei Monti della Laga e dei Sibillini, a nord il misterioso Monte dell'Ascensione.
Il restante territorio del Distretto è caratterizzato dai corsi d'acqua, che dai monti si dirigono verso il mare e da un sistema collinare di particolare pregio, coltivato con cura e valorizzato dalla presenza di borghi e cittadine, per lo più ancora intatte nella loro struttura urbanistica originaria. Le risorse culturali del territorio sono caratterizzate quindi da un patrimonio storico artistico, architettonico e urbano di particolare pregio; da un patrimonio naturalistico prezioso e da ricche tradizioni antropiche, che comprendono fatti storici, tradizioni, folclore, manifestazioni, artigianato, enogastronomia e agroalimentare.
Per tutte queste risorse, proprio per la mancanza di interventi di tipo sistemico, è mancata una valorizzazione adeguata e, quindi, non è stato possibile creare un'immagine immediatamente percepibile del territorio e una conseguente valorizzazione capace di favorire uno sviluppo economico rilevante e l' aumento dell'occupazione specie giovanile.
La realizzazione del Distretto Culturale consente il conseguimento di questi risultati entusiasmanti ad una sola condizione:che ci sia la reale volontà di adottare i provvedimenti che la realizzazione del Distretto Culturale richiede. Tenendo conto in particolare di quelli che sono gli elementi che caratterizzano la filosofia del Distretto Culturale, e cioè la tutela, la conservazione e valorizzazione, la fruizione.
Il processo di valorizzazione che si basa su questi elementi consente la creazione di una filiera produttiva, che favorisce una occupazione di qualità, permettendo, nei rapporti economici con altre realtà, di acquistare un vantaggio competitivo.
 Il processo di valorizzazione in senso stretto richiede, per quanto riguarda la tutela, lo svolgimento di alcune attività, quali la ricerca, la catalogazione, la programmazione e progettazione, che favoriscono il coinvolgimento di varie professionalità locali.
Per quanto riguarda la conservazione, le attività coinvolte riguardano la manutenzione, il restauro, la custodia, la formazione professionale con un impatto rilevante sul livello occupazionale e con il coinvolgimento di esperti nel settore della progettazione, di artigiani, di imprese costruttive.
 Il terzo settore è quello della fruizione, che richiede la creazione di professionalità capaci di rendere fruibili le risorse culturali, di promuoverne la conoscenza, di favorirne la riproduzione, di comunicarne le immagini, permettendo, anche in questo campo, la formazione di varie attività e imprese di tipo artigianale, nel settore dell'editoria e dell'informatica etc.
Il processo di valorizzazione in senso ampio permette un ulteriore sviluppo della filiera produttiva legata allo sviluppo del settore turistico con particolare riferimento all'accoglienza (alberghi, ristorazione, ecc..), ai servizi legati all'accessibilità (trasporti, ecc...), alla promozione, alla valorizzazione dei prodotti locali (artigianato, agroalimentare, ecc...), allo sviluppo di servizi culturali (manifestazioni, festival, centri studio, laboratori, ecc...).
 È evidente che, a  conclusione di questo complesso processo, si verrebbe a determinare una vera e propria modificazione della struttura occupazionale del territorio, con la valorizzazione di nuove professionalità, l'elevazione della qualità della vita e si creerebbero le condizioni per l'eventuale realizzazione anche di un Distretto Culturale Evoluto, favorito dalla presenza di soggetti innovativi e creativi attratti da un ambiente capace di fornire stimoli efficaci. La realizzazione del Distretto Culturale dovrebbe consentire la creazione di un vero e proprio laboratorio, in cui elaborare strategie innovative ed efficaci tali da permettere una valorizzazione di un patrimonio che, pur di grande qualità, non ha consentito, per il momento, di ottenere risultati particolarmente positivi, pur a fronte di tentativi effettuati a più riprese. Si può, al riguardo,  richiamare l'iniziativa di Piceno da Scoprire o quella dei Sensi Piceni, o dei   Saggi,Paesaggi”,(  quest'ultima, in realtà ,  anche  manifestazione strutturata, complessa ed innovativa, che si richiama, in parte, a quella che è la filosofia del Distretto), utili certamente ed interessanti a livello promozionale, ma non in grado di modificare la struttura del territorio.


CENNI STORICI     
Appare opportuno, nell'illustrazione della proposta del Distretto Culturale, fare un rapido cenno alla storia del  Piceno per individuare i momenti più rilevanti della civilizzazione del territorio e della sua forza di attrazione.
 La storia di Ascoli si perde nella notte dei tempi. La città sembra sia nata addirittura prima della fondazione di Roma. Sull'origine della città si confrontano due teorie. L'una richiama alla memoria il viaggio dei popoli sabini che, provenienti da ovest e seguendo il  picchio totemico, nella cosiddetta  Primavera Sacra, andando incontro al sole, si fermarono nella penisola, dove sorge l'attuale Ascoli. Ponendo, qui, le basi per l'avvio di una grande storia. L'altra teoria fa venire i fondatori della città da est, dall'altra sponda dell'Adriatico, esploratori che, sbarcati sulle rive della costa picena e avventuratisi nell'interno, scoprirono la penisola di Ascoli, come una lussureggiante prora di nave, scegliendola come luogo di fondazione della loro città. Come che sia, Ascoli divenne la capitale della gens picena e per più secoli rappresentò il punto di riferimento per un territorio vasto del medio Adriatico.
 Con la conquista romana, Ascoli conservò la sua preminenza nell'ambito del Picenum Augusteo e divenne una città ricca di monumenti, terme, ville, teatro ed anfiteatro, oltre a trovarsi attraversata dalla via Salaria, in diretto collegamento con la capitale dell'Impero.
Con la caduta dell'Impero Romano, nei secoli bui, la città perse importanza, per riacquistare una sua centralità e splendore, resi evidenti anche dalla particolare ricchezza del suo tessuto architettonico, nel periodo dal 1200 al 1500.
Consolidatosi, poi, il dominio papale la forza propulsiva della città perse consistenza e il suo dinamismo si adagiò in una condizione di sonnolento quieto vivere, pur caratterizzato da civili forme di convivenza. L'attività prevalente divenne quella agricola con il sistema della mezzadria e la presenza di ricchi nobili proprietari, che arricchirono la città e la campagna di notevoli edifici nobiliari (ville e palazzi), esercitando un'attività agricola particolarmente ricca e civile.
 Con l'unificazione dell'Italia, Ascoli divenne capoluogo di provincia, ma la sua centralità, prima favorita dal fatto che era l'unica località munita di ponti in grado di assicurare i contatti nord-sud ed est-ovest, si ridusse, per quanto riguarda i rapporti di traffico ed economici, con il loro spostamento sulla costa, dove furono realizzati la ferrovia e la strada nazionale adriatica e, poi, l'autostrada Bologna-Taranto.
 Il restante territorio della provincia era caratterizzato dalla presenza di borghi, costruiti generalmente in cima alle colline, alcuni vere e proprie cittadine con un impianto urbanistico pregevole (come Offida e Montalto Marche) e dai centri montani più interni, con un notevole numero di abitanti, ricchi per attività legate allo sfruttamento dei boschi e all'allevamento del bestiame.
 È evidente che la storia conferma che la città di Ascoli ha avuto i suoi momenti di più grande splendore, quando la sua forza di attrazione si estendeva su uno spazio, superiore a quello di sua competenza strettamente amministrativa. È quindi certo che potrà riacquistare l'importanza di una volta, solo se sarà in grado di porsi come punto di riferimento per uno spazio più ampio di quello della provincia,peraltro ora ridotta.
 Questo spazio e questa funzione potranno essere riacquistati probabilmente solo se la città e il territorio saranno in grado di scegliere l'opzione culturale”, ponendo la cultura come fondamentale elemento di sviluppo e qualificazione del territorio. La realizzazione del Distretto potrà favorire il conseguimento di questo obiettivo.

DESCRIZIONE DEL TERRITORIO  

 
Patrimonio storico, artistico, architettonico e urbano.
Nel delimitare i confini del Distretto Culturale di Ascoli, come già accennato, si è ritenuto di non comprendere la parte più prossima alla costa per evitare quelle forme di disomogeneità, capaci di  creare contrasti campanilistici tra le zone, il prevalere di una parte sull'altra, l'impossibilità di una immagine ben caratterizzata.
Al centro del Distretto, quale elemento fondamentale, è compresa la città di Ascoli.
Ascoli è un centro con una grande storia alle spalle, è ricca di un tessuto urbano di notevole pregio, è ubicata in un contesto ambientale di particolare fascino.
La sua parte storica è conservata in una penisola fluviale che, come una grande nave, è difesa dalle ripide e profonde scarpate dei fiumi Tronto e Castellano.
Il travertino è la calda pietra che caratterizza tutte le costruzioni del cento cittadino, in cui si distinguono, per la loro sontuosa, raccolta e composta eleganza, le celebri Piazze del Popolo e dell'Arengo, a cui va aggiunta quella più misteriosa e ferrigna di impronta medioevale, Piazza Ventidio Basso,  di cui ora non si riesce ad intuire l'importanza e il fascino, nascosti ed annullati dalla presenza di un immondo parcheggio. A queste piazze più importanti vanno aggiunte quelle più intime e riservate, che, nell'insieme, se adeguatamente recuperate e valorizzate, consentirebbero la creazione di un percorso urbano di grande commovente fascino.
Ogni Piazza è valorizzata dalla presenza di una o più chiese: sovente si tratta di grandi edifici, talvolta di altri più piccoli e civettuoli. Molte sono costruzioni romaniche, alcune gotiche, oppure rinascimentali o barocche, tutte, comunque, costruite con la pietra del luogo, il travertino, il cui colore cambia di continuo nel corso della giornata, conferendo al paesaggio urbano una variabilità inconsueta.
Poi,  la presenza di tanti chiostri e delle torri, alcune ancora intatte che svettano nella loro elegante e vertiginosa altezza, altre, i cui resti è divertente scoprire inglobati in edifici di epoca successiva.
E, inoltre, tanti ricchi sontuosi  Palazzi nobiliari con eleganti portali, i due Teatri Storici cittadini, gli intimi orti urbani e i Musei, dalla Civica Pinacoteca, uno dei più importanti delle Marche, alla Galleria di Arte Contemporanea, al Museo Archeologico, al Museo Diocesano, al Museo Medioevale di prossima apertura nello splendido Forte Malatesta.
E, quindi,  i luoghi romantici, le passeggiate sul ciglio delle profonde scarpate dei fiumi, o quelle in cima alle colline, sulla parte alta della città dalla Chiesa dell'Annunziata alla Rocca Sistina.
E, ancora,  i due parchi fluviali, ormai in parte fruibili, e, ai margini del Castellano, la fascinosa struttura della Cartiera Papale, ora recuperata ed utilizzata per mostre di qualità e come sede museale.
Da non dimenticare i reperti archeologici, da quelli di epoca picena a quelli romani, per arrivare a quelli del periodo longobardo.
Così, oltre alle chiese che conservano resti di antichi templi pagani, emerge l'importanza del teatro romano, dell'anfiteatro  nascosto sotto la pavimentazione di una piazza, dei tanti ponti, da quello celebre di epoca augustea a quelli più discreti, costruiti per la Consolare Salaria, arteria, di cui si possono ammirare alcuni tratti, svelati in occasione di lavori svolti nella città e conservati per l'ammirazione del pubblico.


PATRIMONIO NATURALISTICO          
Di particolare fascino il sistema collinare, che circonda la città, a nord verso il seghettato profilo del Monte dell'Ascensione, con un aspetto lunare nella parte più alta, dove sono presenti vertiginosi precipizi calanchiferi, privi di qualsiasi forma di vegetazione, e dolce, rigogliosa di colori, piante, fiori, nella parte più bassa, sino ai margini delle prime case cittadine; a sud, con l'imponente profilo del Colle San Marco, verde di essenze arboree e verso l'alto con  precipiti pareti di travertino, su cui, come un emblema, si ammirano i resti dell'Eremo medievale.
La salvaguardia di questa quinta fondamentale del paesaggio urbano potrà essere assicurata, copiando quanto fatto dalla civile Ferrara che, con il sistema della cosiddetta Addizione Verde ”, ha permesso la tutela e salvaguardia di oltre 1800 ettari del territorio cittadino.
Allontanandoci dalla città scopriamo,  verso ovest, alcuni centri, già un tempo fiorenti, che formano la parte montana del territorio e si distinguono per la presenza di un capoluogo e di una serie numerosa di frazioni, da quelle ubicate in basso vicino ai corsi d'acqua, a quelle, sovente in posizione mirabile, in alto, nei pressi dei boschi o in punti panoramici.
Ogni borgo è ricco di Chiese, spesso affrescate o con dipinti di commovente pietà popolare, di palazzetti  austeri  e robusti, di edifici con portali ed architravi o con  balconi  in legno.
Si va dai borghi di Acquasanta, a quelli di Arquata, Montegallo, Montemonaco, Roccafluvione, Venarotta, Force e Comunanza, cui si possono aggiungere alcune località, come Amatrice, Accumuli e Valle Castellana, che, pur ubicati nelle province limitrofe di Rieti e Teramo, presentano una omogeneità di caratteristiche con le località picene e potrebbero benissimo essere comprese  nei confini del Distretto Culturale di Ascoli.
Ad est di Ascoli, ai due lati del Fiume Tronto, sul sistema collinare, dolce nel suo  mosso ondulato fascino, incontriamo i tanti borghi, sovente vere e proprie cittadine, costruiti in cotto, con palazzetti eleganti, e, in cima, la piazza, una o più chiese anche queste ricche di affreschi, di altari sontuosi o semplici, pale, statue. Centri piccoli e grandi come Folignano, Maltignano, Appignano del Tronto, Colli del Tronto, Castel di Lama, Spinetoli, Monsanpolo del Tronto, Offida, Castignano, Castorano,  Cossignano, Montalto Marche, Rotella, Montedinove, cui si possono aggiungere alcune cittadine del vicino crinale abruzzese, che presentano un'omogeneità di caratteristiche con quelle picene, quali  Ancarano, Controguerra e, forse, Civitella del Tronto.
E, poi, isolate nei campi, pievi, casolari che conservano le forme tradizionali, sontuose ville con parchi.
Nell'insieme un universo di grande valore, inserito in un paesaggio, per lo più ancora intatto, che è dominato sullo sfondo dalle alte cime dei Monti della Laga e del Gran Sasso, da quelle dei Monti Sibillini, dall'elegante profilo della Montagna dei Fiori e dalla presenza del misterioso e seghettato  rilievo dell'Ascensione.
E, poi, i ruscelli e le cascate, in basso i corsi d'acqua, torrenti e fiumi, le deserte ferite calanchifere, il dolce  profilo delle colline coltivate con rara perizia, con i misteriosi fossi  ricchi di vegetazione, i verdi filari delle viti, i gialli campi di grano, l'argenteo brillare degli oliveti.
Insomma, un paesaggio ricco, variegato, commovente nella sua discreta armonia, civilizzato nei secoli dalle amorevoli cure di una accorta umanità.
In questo vero e proprio giardino alcuni angoli appaiono ormai orribilmente deturpati da interventi  invasivi e scorretti. È proprio qui che dovranno essere previsti, nel caso si voglia adottare il progetto del Distretto Culturale, adeguati interventi di restauro e recupero ambientale ed urbanistico, che valgano almeno a ridurre in termini accettabili i gravi danni arrecati, che, nella loro invasività, riescono a ridurre anche i valori dei luoghi vicini, fortunatamente non toccati da esiziali forme di speculazione aggressiva.


PATRIMONIO DELLE TRADIZIONI ANTROPICHE         
                                
Una grande opportunità di sviluppo è rappresentata, inoltre, dalle tradizioni antropiche, ricche di secolari forme di civilizzazione, di tradizioni, di ricordi, di colture, di produzioni tipiche, che rimangono ancora vive nei comportamenti quotidiani, nelle scelte delle comunità, nello scandire quotidiano delle azioni.
Sovente, peraltro, per queste risorse è mancato un coordinamento, una messa in rete, una visione d'assieme, sì da non consentire di trarne tutti i benefici anche economici che si potevano ottenere.
Così, per la parte montana del territorio, sono da ricordare le rievocazioni legate ai fenomeni negromantici dei Laghi di Pilato, o quelle legate al peregrinare del Guerrin Meschino e alla magica Grotta della Sibilla, o quelle legate al misterioso Monte dell'Ascensione con i culti pagani, le sette dei mendicanti, le credenze popolari. E, poi, quelle legate al nome di Cecco, al libro del Comando, alla presenza di un personaggio così misterioso come il grande e severo poeta ed astrologo ascolano.
Più vicine al nostro tempo e vive nella pratica di associazioni, che ne promuovono la realizzazione, le tradizionali manifestazioni legate al Carnevale di Ascoli, di Castignano ed Offida e quelle legate al Torneo della Quintana di Ascoli, che coinvolge la partecipazione di migliaia di figuranti e di un numero rilevante di turisti.
E, insieme, le tante sagre, che in ogni angolo del territorio, vedono la promozione di produzioni tipiche locali, di eccellenze enogastronomiche, di prodotti di nicchia di grande valore.
Tra questi vanno indicati i funghi raccolti nei boschi, il tartufo pregiato nero del Piceno, che sembra  uno dei migliori del mondo e prodotto in grande quantità nel nostro territorio e  venduto, sui mercati esteri, sovente come prodotto umbro; l'anisetta, tradizionale liquore di elegante ed armoniosa fattura, che non è riuscito ancora a riacquistare quella fama che già un tempo lo contraddistingueva.
E, poi, il vino che, da prodotto di bassa qualità, ha saputo acquistare progressivamente una sua buona visibilità, con margini ulteriori di affermazione se si riuscirà a legare la sua produzione alle singole specificità del territorio, valorizzandone, con una cura attenta e meticolosa, le caratteristiche più  tipiche in modo da  distinguere ogni produzione per i suoi più autentici valori.
Analogo discorso va fatto per l'altra produzione tipica del territorio, l'oliva tenera ascolana, legata, d'altra parte, alla tipica pietanza ascolana dell'oliva fritta.
Cultura popolare, da valorizzare e legare in maniera indissolubile all'immagine del Distretto Culturale.
Analogo discorso va fatto per le altre tipicità enogastronomiche, da quella del vino cotto, agli insaccati, ai formaggi.
Così come andranno recuperate e valorizzate tutte le forme di artigianato, alcune ancora vitali, altre quasi scomparse, che distinguevano la laboriosa comunità picena: liuteria, ebanisteria, falegnameria,  ceramica, oreficeria ed argenteria, lavorazione del ferro e del rame.
Nel contesto del Distretto Culturale ampio spazio potranno trovare queste attività, sovente assai prossime alle più sofisticate forme artistiche.


UNA NUOVA FORMA DI GESTIONE DEL TERRITORIO 

Tutela e restauro del patrimonio storico,  artistico, architettonico e urbano

Deve convenirsi che, forse per il mancato poderoso sviluppo, il territorio di riferimento del proposto Distretto Culturale di Ascoli non presenta quei macroscopici elementi di aggressione speculativa, che distinguono altre zone del territorio provinciale. Basti accennare, qui, a ciò che si è verificato sulla vicina costa adriatica, dove l'espansione edilizia ha assunto i caratteri di una vera e propria alluvione che ha  determinato la  completa occupazione di tutti gli spazi esistenti dalla battigia alle colline, queste ultime ora progressivamente soggette ad una forte aggressione edificatoria, sì da privare una zona, favorita da un microclima molto favorevole, dell'opportunità di  programmare una forma di sviluppo in grado di attirare turisti per tutto l'anno. Come per quasi tutte le coste italiane si è invece privilegiata la costruzione delle seconde case, utilizzate per la stagione estiva, e, poi, chiuse miseramente per il resto dell'anno. Addirittura, negli ultimi tempi questo processo ha favorito la scomparsa di un numero notevole di alberghi, strutture fondamentali per la promozione del turismo e la creazione di posti di lavoro, autorizzandone la trasformazione in seconde case o residence, con un ulteriore aggravamento della situazione. Non dimenticando quanto accaduto al Cinema Calabresi, che, sicuro bene culturale per la funzione svolta quale luogo emblematico di tutte le manifestazioni importanti della città di San Benedetto e memoria storica cittadina per lo spettacolo cinematografico, ora è stato, senza misericordia, abbattuto, impoverendo sicuramente la comunità e forse arrecando benefici economici solo ai realizzatori di nuove seconde case.
Nel territorio di riferimento del Distretto Culturale, fenomeni di espansione edilizia disordinata e di poca qualità hanno riguardato, qui in maniera grave, le parti pianeggianti della Valle del Tronto, alcune colline  prossime a questa Valle e le aree contigue al Centro storico del capoluogo.
L'attività edificatoria della Valle del Tronto ha riguardato la costruzione di capannoni industriali, sovente rimasti vuoti di attività, centri commerciali, case di civile abitazione oltre alle strade di collegamento.
Un punto di osservazione interessante di questo fenomeno può ritenersi il magico giardino della Villa Panichi Seghetti di Castel di Lama. La Principessa Panichi, che pure cura con tanto amore la sua villa e  il giardino contiguo, ripetutamente ha dovuto ricordare che la visione che si offre ai suoi ospiti della sottostante valle è talmente offensiva da produrre sovente forme di ripulsa per i visitatori, che, specie se provenienti dalle regioni del nord Europa, non ripetono l'esperienza del viaggio nelle nostre contrade.
Nell'ambito del Distretto Culturale uno dei primi problemi da affrontare sarà quindi quello del recupero e restauro ambientale e paesaggistico, nei limiti del possibile, di questo effettivo quadro drammatico.
D'altra parte, impossibile, ormai, un ritorno alla mitica condizione della primitiva Valle, nella memoria una vera e propria Arcadia, sarà necessario procedere a forme di mimetizzazione degli edifici esistenti, sì da ridurre in termini accettabili il terrificante attuale impatto visivo.
Sono noti i modi di intervento, d'altronde nemmeno tanto costosi e di cui ha fatto cenno anche il Prof. Secchi nel corso della presentazione del suo piano per il Centro Storico di Ascoli: si va dalla piantumazione di essenze arboree, capaci di nascondere gli edifici, alla tinteggiatura delle pareti con colori capaci di mimetizzare le costruzioni nell'ambiente, alla realizzazione di giardini pensili sui tetti degli edifici.
Questo lavoro va comunque fatto, sia che si realizzi il Distretto Culturale, sia che ciò non  avvenga.
È naturale pretendere che non si continui ulteriormente a favorire le costruzioni sia nella Valle, sia sulle colline, dove purtroppo già tanto è stato realizzato impunemente e  senza criteri.
Si guardi quello che è accaduto a Castel Di Lama. Le colline sono state completamente cementificate, coperte da strade e muri di contenimento. Le conseguenze si vedranno nel tempo per quanto riguarda i danni da alluvioni, la modificazione del clima, la desertificazione del territorio, l'impossibilità di assorbimento delle acque.
Analoghe operazioni si pensava di proseguire a Colli del Tronto. Qui la popolazione, anche per la presenza, l'interessamento e la passione del Maestro Tullio Pericoli, originario del posto, ha mostrato una diversa sensibilità. È stato costituito il Comitato “Ermo Colle”, che ha coinvolto tutta la cittadinanza in questa opera meritoria di  tutela del territorio e, almeno per il momento, alcune forme di lottizzazione invasive sono state bloccate.
Analoghi appetiti si appuntano su un altro spazio per fortuna ancora rimasto intatto e di proprietà del Comune di Ascoli, a seguito di un legato dei Marchesi Sgariglia. Questo spazio ancora intatto assume una particolare importanza nel panorama complessivo della Valle del Tronto, sia per la posizione del sito, sia per la quasi integra conservazione della villa e del territorio circostante, che   rappresentano un episodio esemplare del sistema delle Ville nobiliari, che, dalla Costa si sviluppano sino ad Ascoli ed oltre la città capoluogo verso ovest, sino a lambire il territorio dei due parchi nazionali.
La conservazione dell'integrità del parco e della zona agricola di Villa Sgariglia appare indispensabile nella previsione della realizzazione del sistema delle Ville Picene, che, partendo dalla Costa sino ai due parchi Nazionali, preveda la tutela e conservazione delle Ville, l'integrità dei parchi realizzati accanto alla stesse e la creazione di un  percorso, che consenta almeno la fruizione visiva di questo enorme ricchezza del nostro territorio.
Senza dimenticare la possibilità di fruire di alcune di queste ville per un'attività di visita, di svolgimento di concerti, di manifestazioni culturali o di residenzialità  turistica  di pregio. Cosa già possibile nella Villa Panichi Seghetti e nelle Ville Sgariglia di Campolungo e delle Piagge. La realizzazione di un progetto di qualità nell'ambito del Distretto Culturale potrebbe sicuramente allargare queste forme di fruizione, con benefici effetti sull'occupazione e sullo sviluppo del turismo culturale e della conoscenza.
Appare opportuno a questo punto formulare alcune considerazioni su come si è intervenuti nella Valle del Tronto nella zona destinata agli insediamenti industriali.
Nell'autorizzare questi insediamenti è mancata una qualsiasi programmazione e si sono permessi invece tutti gli interventi richiesti. Bastava fare la domanda, indicare l'area disponibile, si ottenevano i finanziamenti  e l'attività era bella e pronta per iniziare. Così attività del settore alimentare sono sorte vicine a quelle del settore chimico, quelle del settore farmaceutico vicine a quelle meccaniche : nessuna idea di privilegiare un settore particolare per creare un'economia di distretto in grado di far emergere nuove professionalità, di favorire economie di scala, di creare un cultura d'impresa, di permettere una risposta positiva in caso di crisi economiche sempre possibili. Le conseguenze si sono viste. Appena le convenienze non sono apparse più tali per gli imprenditori o altre soluzioni sono apparse più convenienti non si è pensato due volte a chiudere gli impianti, a buttare sul lastrico le famiglie dei lavoratori impegnati nella produzione, a lasciare nell'abbandono i capannoni realizzati su terreni una volta fertili e destinati ad un'agricoltura di qualità.
Anche in questo caso si può dire che quanto occorso è la conseguenza di un approccio culturale non adeguato a queste problematiche.
E' da ritenersi, infatti, che l'attività imprenditoriale per rispondere correttamente agli interessi di lungo periodo di un territorio deve essere l'espressione della  professionalità , dei talenti, della creatività , delle vocazioni , dei valori culturali della comunità locale e delle tradizioni consolidate.
Una risposta alla crisi che drammaticamente sta colpendo il Piceno potrà essere fornita riconsiderando complessivamente gli interventi effettuati, individuando i veri punti di forza, le attività che si presentino quale vera espressione di un'autonoma capacità imprenditoriale del posto, puntando a valorizzarla in modo da realizzare, anche  nel  settore industriale, un vero e proprio Distretto. Senza volere privilegiare un settore rispetto agli altri, è da convenirsi che forse non sarebbe stato inopportuno destinare tutte le risorse e le intelligenze sviluppando le attività del settore agro-alimentare, che  già erano presenti nel territorio, prima che si avviasse il processo spinto di industrializzazione. E. d'altra parte, constatare la vitalità e la propensione alla sviluppo di industrie come quella della Sabelli  conferma abbondantemente questa convinzione e indica quali , probabilmente, dovrebbero essere le direttive di una nuova politica industriale, espressione delle più autentiche risorse culturali del territorio e non di scelte effettuate da entità estranee , non si sa di che provenienza e  “quanto e quando” interessate ad interagire con  i reali interessi della comunità locale. 
Proseguendo lungo la valle del Tronto si giunge finalmente nel comune capoluogo. È la città al centro del proposto Distretto Culturale. È un centro di grande valore storico architettonico, ricco di tradizioni, di edifici artistici, di musei, di teatri, insomma di risorse culturali.
Pure, è da convenirsi che le zone di espansione sono di infima qualità architettonica. È mancato un disegno d'assieme immediatamente percepibile. Si è costruito in direzione della costa, privando progressivamente il centro di abitanti, e rendendolo, oggettivamente, la periferia di tutto il tessuto urbano. Il numero ridotto di abitanti e il loro progressivo invecchiamento hanno determinato una oggettiva riduzione della vitalità del centro e una sempre più limitata capacità di attrazione. Limitazioni che vanno ad unirsi ad analoghe condizioni che caratterizzano tutta la città rispetto al resto della provincia ed in particolare alla zona costiera.
Fenomeni recentemente aggravati dalla realizzazione di mastodontici Centri Commerciali nella parte est della città, nella valle del Tronto.
Le conseguenze di queste scelte sono evidenti: chiusura progressiva dei negozi del centro e di un numero impressionante di chiese. Per dare una certa vitalità a questo spazio fondamentale della città si è costretti ad organizzare alcuni eventi, ad attirare i giovani in Piazza per l'aperitivo. Provvedimenti, che non risolvono il problema. Non è da dire, peraltro, che gli altri quartieri si trovino in migliori condizioni. Case, strade per il traffico: nessun punto di aggregazione,non luoghi per produzioni ed offerte culturali, non spazi verdi adeguati. Insomma, una condizione non ottimale.
La realizzazione del Distretto Culturale deve dare delle risposte a questi gravi problemi e a queste deficienze.
In primo luogo si tratta di ridare centralità alla parte antica della città, a quella che rappresenta la sua storia e la sua immagine, in modo da ridarle il ruolo che le compete.
Riportare al centro un numero adeguato di abitanti, farlo diventare un vero e proprio giardino di pietra, mettere in rete tutte le piazze da quelle grandi alle più piccole, creare una rete delle chiese          chiuse al culto individuando funzioni non in contrasto con la loro originaria funzione spirituale, prevedere una forma di utilizzazione dei tanti contenitori vuoti per attività culturali di qualità, procedere ad un recupero e restauro di tutte le superfetazioni e degli interventi incongrui, eliminare il traffico superfluo ripetendo l'esperimento di Piazza dell'Arengo che ha riacquistato una sua  centralità dopo l'eliminazione del traffico e della sosta delle auto, conferendole  la dimensione di uno spazio metafisico inimmaginabile degno delle immagini di De Chirico.
Far diventare, insomma, il centro un vero e proprio laboratorio, in grado di favorire la promozione di attività di elevato livello e, come conseguenza, lo sviluppo del turismo della qualità e della conoscenza.
Del significato del laboratorio si parlerà, comunque, più diffusamente in seguito.
Certo, gli interventi di riqualificazione e restauro urbano dovranno riguardare anche gli altri quartieri della città, con miglioramento della qualità architettonica degli edifici, creazione di spazi verdi, pedonalizzazione di strade o creazione almeno di strade residenziali, realizzazione di punti di aggregazione e spazi per attività culturali, realizzazione di un parco urbano che si possa ritenere tale, utilizzando la parte preponderante della area ex Carbon e ciò che rimane dell'area del Pennile di Sotto, realizzazione, finalmente, del parco fluviale, utilizzando i due preziosi corsi d'acqua che attraversano la città.
Certamente un lavoro di lungo periodo, che richiede impegno, forte volontà e determinazione.
Se si vuole veramente che la città ritorni a splendere, peraltro, non ci sono altre strade percorribili.
Un fatto è certo, quanto proposto si potrà realizzare ad una sola condizione e cioè che si abbandoni finalmente la pratica dell'ulteriore espansione edilizia e si destinino tutte le risorse al recupero e al restauro dell'esistente, così come proposto dal Prof..Cervellati quando presentò il preliminare del nuovo piano regolatore cittadino.
Il processo di riqualificazione dovrà riguardare  anche i borghi e le città del sistema collinare, dove sovente si è prodotta una invasiva espansione edilizia, con edifici del tutto difformi dalle caratteristiche tipiche dell'architettura della zona e con interventi nel tessuto urbano sovente di infima qualità e poco rispettosi del contesto.
Nella parte  interna del territorio si è verificato invece un fenomeno di spopolamento progressivo delle frazioni e dei borghi con conseguente degrado del patrimonio edilizio, salvo i casi di restauro effettuato per l' utilizzazione come seconde case.
Comunque un patrimonio per lo più in abbandono, meritevole di una utilizzazione intelligente nel contesto della realizzazione del Distretto Culturale.
Un settore in cui l'avvio di un processo sistemico appare fondamentale è quello della valorizzazione e fruizione dei beni artistici ed architettonici. È evidente la condizione di minorità, che caratterizza, nel complesso, la situazione di questi beni presenti in Italia, rispetto a quello che avviene in alcuni paesi, specie Europei, con cui dobbiamo confrontarci. Il riferimento può essere la Francia, che è  ricca di  strutture museali, particolarmente importanti, quali per esempio il Museo del Louvre, che ha una  forza d'attrazione, tale da richiamare, da solo, un numero di visitatori di gran lunga superiore a quelli che si recano complessivamente in tutti i musei italiani. È evidente la necessità di mettere in rete tutto il nostro sistema museale per ottenere dei risultati confrontabili con quelli dei cugini d'oltralpe. Cosa, peraltro, che non avviene. Così, sovente, alcuni musei e luoghi d'arte, pur validi in sé, per la limitata visibilità e per la carente capacità di attrazione rimangono spesso senza visitatori o con un numero veramente esiguo. È evidente la necessità di cambiare registro. Questa esigenza appare più impellente per un territorio periferico come quello Piceno, oltre tutto ricco di una serie organica di beni culturali e di opere d'arte, però privo dell'opera eccezionale, capace, da sola, di essere attrattore irrinunciabile di moltitudini di visitatori. La Regione Marche, intelligentemente, ha ritenuto di dare una risposta positiva a questa esigenza approvando il progetto del Museo Diffuso, che vuole appunto far ritenere come un unico soggetto tutto il sistema regionale dei Musei e delle altre opere d'arte in modo da creare una massa critica tale da supplire alla parcellizzazione dell'offerta. È il concetto dell'unione che fa la forza. Purtroppo a tutt'oggi, la proposta del Museo Diffuso, pur validissima, non ha prodotto i risultati positivi sperati e sperabili. Nell'ambito della proposta di Distretto Culturale questa idea innovativa dovrà essere meglio utilizzata, in modo da creare una vera e propria rete di tutte le realtà artistiche, architettoniche ed urbanistiche del territorio, da offrire quale elemento formidabile di attrazione per visite di qualità, non di semplice escursionismo, di scambio culturale e di conoscenza, cioè il turismo che richiede la permanenza sul territorio. Da qui l'esigenza di  momenti di coordinamento, di promozione integrata e di rete, di creazione di itinerari, di approfondimenti tematici, che presuppongono naturalmente un ruolo attivo delle strutture museali già esistenti, il coinvolgimento di nuove professionalità, l'abbandono del passivo ruolo di semplici custodi  di opere messe sotto formaldeide.
Certamente anche in questo caso si tratta di una vera e propria rivoluzione culturale, i cui elementi di innovazione sono già presenti in buona parte nella legge innovativa della Regione Marche riguardante il Museo Diffuso.

Il valore del patrimonio naturalistico e del paesaggio.
Come già accennato, il Paesaggio e il Patrimonio Naturalistico rappresentano gli elementi di  più forte caratterizzazione del proposto Distretto Culturale di Ascoli. Quindi vanno predisposti efficaci strumenti per la loro tutela e valorizzazione, individuando altresì forme compatibili di fruizione che ne salvaguardino l'integrità.
E' la forma di fruizione compatibile che diventa, di per sé, l'elemento attivo della valorizzazione  e della tutela. Quindi, sarà necessario privilegiare forme di fruizione non invasive, utilizzando prevalentemente i percorsi pedonali. Si dovranno, pertanto, riutilizzare tutti i sentieri esistenti, riattivando quelli da tempo abbandonati e avendo cura di prevederne anche nelle zone, dove ora è predominante l'uso dei mezzi meccanici di locomozione.
Si vuole qui accennare al caso del Crinale Piceno, che rappresenta indiscutibilmente uno dei percorsi più spettacolari e fascinosi del territorio piceno. Ebbene, la strada, che ne consente la fruizione, è riservata solo ai mezzi meccanici. L' eventuale turista, amante della natura, che volesse percorrerla eventualmente a piedi o in bici correrebbe il rischio sicuro dell'investimento. La previsione di un sentiero ciclopedonale ai lati della strada o delle altre strade esistenti, così come esistono nelle contrade civili del nord Europa, consentirebbe di arricchire il territorio di infrastrutture fondamentali per lo sviluppo di un turismo ricco, di qualità e civile.
Certo il costo potrebbe rivelarsi notevole. I risultati sarebbero comunque di gran lunga superiori alle spese sostenute.
Evidentemente, si tratta di un nuovo modo di pensare: far prevalere l'idea di ricchezza collettiva rispetto a quella individuale.
Sia che si tratti di questi nuovi sentieri predisposti, sia che si tratti di riutilizzare intelligentemente i sentieri dell'area montana, già esistenti e solo da recuperare e riattivare (indicarli tutti sarebbe troppo lungo ma si pensi solo a quello della Cascata della Volpara, al Sentiero dei Mietitori, a quello della Noce Andreana con la cascata dei carbonai, ai Sentieri del Bosco delle Piagge e a quelli del Colle San Marco, di San Giacomo, dell'Ascensione, della Zona di Montegallo, di Arquata, di  Montemonaco) il programma dei lavori da effettuare sarebbe importante. Al termine del processo, nell'ambito della promozione del Distretto Culturale, la fruizione produrrebbe degli effetti strabilianti a livello di  personale occupato (guide, addetti alla manutenzione, servizi di accoglienza, servizi di ristoro e pernottamento).
Una vera e propria rivoluzione rispetto alla situazione attuale, che vede solo la fruizione di pochi appassionati, gelosi di custodire, solo per il loro godimento, luoghi dal magico fascino così accessibili eppure così poco frequentati e valorizzati.

Le trame della storia e le tradizioni.
Le vicende storiche del territorio piceno si perdono nella notte dei tempi. Agli avvenimenti storicamente documentati si uniscono le tradizioni, i fatti leggendari, i racconti tramandati da padre in figlio, le credenze popolari. Tutto ciò forma la cultura reale di un popolo. Ne forma l'essenza e il carattere, condiziona i comportamenti.
Ricordare questi avvenimenti, creare manifestazioni rievocative, valorizzare i luoghi dove gli avvenimenti si sono svolti, evitare che si dissolva nell'oblio il sistema di credenze legate alla credulità popolare o alle leggende che hanno informato l'immagine del territorio rimane un compito fondamentale per valorizzare una storia tanto ricca di immagini, personaggi, richiami letterari, monumenti, leggende, luoghi topici. Alcune manifestazioni già contribuiscono a mantenere viva la memoria. Altre dovranno essere il frutto di attenti studi, attente ricerche, appassionati approfondimenti. L'immagine del territorio ne risulterà arricchita, la forza di attrazione aumenterà, il desiderio di conoscenza e di scambi culturali verranno intensificati.
Basti qui accennare alle Vicende della Guerra Sociale contro Roma e al topico luogo dove più intense furono le vicende di lotta ( l'ex Tiro a Segno salvato dagli interventi già previsti), i luoghi legati alla memoria di Cecco d'Ascoli, i misteriosi eventi del Monte dell'Ascensione, la Villa di Spinetoli legata a culti e pratiche esoteriche per l'elezione di un papa, i Laghi di Pilato e i riti negromantici, la Grotta della Sibilla e l'errare del Guerrin Meschino,  la memoria delle Amazzoni di Ascoli, le rievocazioni della Giostra della Quintana, le tradizioni del Carnevale, con i suoi personaggi più famosi, di Ascoli, Castignano e Offida, il martirio di Sant'Emidio e di Polesia. Su tutte questi avvenimenti, storici o leggendari o credenze, si dovrà effettuare una ricerca approfondita. Dovranno essere tutelati i luoghi, conservate le memorie, rievocati gli avvenimenti. Un lavoro di grande impegno e di lunga durata, che farà emergere professionalità, impegnerà nuove energie, richiamerà nuovi estimatori del territorio, svilupperà il turismo della qualità e della conoscenza.

Antichi mestieri e artigianato artistico. 
                                   
La riscoperta e la valorizzazione degli antichi mestieri e delle forme più autentiche di artigianato rappresentano un elemento di fondamentale caratterizzazione del processo di realizzazione del Distretto Culturale.
La tutela, il restauro e il recupero ambientale, urbano ed architettonico, presuppongono questa operazione, con l'utilizzazione di materiali tipici e tradizionali del posto, dalla pietra al legno, e con forme di lavorazione non seriali e meccanizzate. La riscoperta di manualità favorirà d'altronde anche forme di produzione di più elevato livello che confinano con vere e proprie produzioni artistiche. Si veda quanto accade già ora ad Ascoli, dove alcuni artisti si distinguono per una lavorazione ed elaborazione di grande complessità ed artificio del travertino, con realizzazione di sculture di commovente bellezza.
Non dimentichiamo, d'altra parte, la lavorazione della ceramica che, da sempre, ha conservato una sua precisa immagine nel contesto nazionale, tanto è vero che Ascoli è compresa tra le città della ceramica.
Certamente, la realizzazione del Distretto Culturale e una politica volta a favorire un'ulteriore diffusione di questa pratica artistica consentirebbero alla città e al territorio di meglio presentarsi in questa speciale graduatoria, acquistando una maggiore visibilità.
Non va dimenticato, inoltre, il settore della lavorazione del legno, sia per quanto riguarda la realizzazione di porte, portoni ed infissi, sia per quella dei mobili, con particolare riferimento a quelli di qualità,  ricchi di elementi di ebanisteria. Gli artigiani operanti in questo settore tendono ora a scomparire e, insieme, scompaiono quegli interventi di qualità una volta presenti in grande quantità negli esercizi pubblici, dove banconi, scaffali di elegante fattura conferivano ai locali una struggente eleganza e che ora vengono sostituiti, impunemente, da materiali seriali, privi di un qualsiasi elemento di legame con il territorio.
Esemplare al riguardo la distruzione dell'arredo del  tipico Caffè Sestili, sostituito con mobili moderni, di fabbricazione seriale. Così,  un locale ricco di memorie e di valori artistici,  è diventato  uno spazio anonimo e sicuramente di minore valore. A nulla è valsa la segnalazione di quanto accadeva alle autorità perché venisse scongiurato questo errore. Non c'è stato nulla da fare. La distruzione di un luogo mitico è avvenuta. Probabilmente, nel contesto di un Distretto Culturale  attivato, ciò non sarebbe accaduto.
Altra attività artigianale, che ha caratterizzato positivamente la civiltà del Piceno è quella del ferrobattuto: inferriate, balconi, cancelli e tanti altri manufatti sono stati realizzati nel tempo e le opere ancora ora ingentiliscono e arricchiscono tanti angoli della città capoluogo e dei paesi del suo comprensorio.
È evidente l'esigenza di conservare queste manualità, di favorire la conservazione di queste professionalità per evitare che nel tempo, scompaiano i manufatti contraddistinti da elementi di personalizzazione per essere sostituiti da quelli anonimi e seriali di tipo industriale.
Ogni impegno dovrà essere  posto nella valorizzazione e conservazione dell'attività dei decoratori, almeno per consentire il restauro e la manutenzione delle tante pareti decorate ancora  presenti in molti edifici del centro storico, sia che si tratti di saloni, ingressi  e cortili, sia che si tratti, anche se in minore numero, di facciate esterne.
Uno sforzo enorme andrà effettuato, inoltre, per recuperare l'attività nel settore dell'argenteria ed oreficeria, che nel periodo di maggior splendore di Ascoli, dava lustro alla città con opere di indubbio valore. Si pensi solo a quelle realizzate dal grande Pietro Vannini.
Da non dimenticare, infine, l'elegante professionalità nel settore della sartoria, in particolare quella che consente la riproduzione degli splendidi abiti indossati dagli oltre mille figuranti della Quintana. La realizzazione del Distretto Culturale, nel favorire lo sviluppo di un turismo di qualità e non di semplice veloce escursionismo, potrebbe sicuramente favorire  la richiesta di questi abiti, da parte di appassionati, con effetti benefici indiscutibili sull'occupazione.
Certamente altre attività potrebbero svilupparsi ed essere recuperate, attività magari nel frattempo  abbandonate per mancanza di richieste da parte di consumatori disinteressati o per una limitata comprensione del loro autentico valore.
Lo studio di fattibilità del Distretto Culturale, se si deciderà di dare corso a questa fantastica iniziativa, potrà con maggiore precisione individuare gli altri settori di attività promuovibili.

Il circuito dei sapori: Enogastronomia-Agroalimentare.
                              
Il processo di valorizzazione in senso ampio riguarda  in maniera fondamentale l'eno-gastronomia e l'agro-alimentare.
Da una parte la valorizzazione dell'immagine del territorio del Distretto conferisce un valore aggiunto indiscutibile ai beni propri di questi due settori, favorendone la domanda esterna, dall'altra  è proprio la presenza di questi beni adeguatamente pubblicizzati che favorisce un poderoso aumento di turisti, indotti a visitare il territorio del Distretto per godere di attività e produzioni di elevata qualità.
La realizzazione del Distretto Culturale presuppone l'individuazione di tutte le produzioni locali tipiche, che dovranno essere ulteriormente migliorate  per renderle  uniche nel panorama nazionale ed internazionale.
È evidente la necessità di predisporre, altresì, gli strumenti più efficaci per consentirne la conoscenza, la commercializzazione, il confezionamento e la distribuzione.
Anche in questo caso è la realizzazione del Distretto Culturale in sé che favorisce il conseguimento di obiettivi ora inimmaginabili.
D'altra parte, con la realizzazione del Distretto Culturale, si otterrebbero delle economie di scala  che consentirebbero la sopravvivenza ed il successo di attività ora condannate alla chiusura.
Si pensi solo alle agenzie di promozione e pubblicità e a quelle di distribuzione, di pubblicazione di manifesti, di produzione di filmati ed altro.
Così ora può accadere che il Piceno, che sembra sia il più grande produttore di Tartufo nero pregiato, proprio per la mancanza di questi tipi di attività, consente che la sua promozione all'estero ed in particolare negli Stati Uniti venga in parte presentata come produzione umbra.
Le produzioni di qualità che distinguono il comprensorio di Ascoli sono numerose: si va da quelle della zona montana, dai marroni al miele agli insaccati, ai formaggi, ai funghi, alle patate a quelli delle zone collinari, dove si distingue, senza voler dimenticare le olive tenere ascolane e la famosa Anisetta, la produzione del vino.
A questo riguardo, nel riconoscere i grandi progressi che in questo settore sono stati conseguiti negli ultimi tempi, con la riduzione del vino sfuso e il progressivo confezionamento del vino in bottiglia, è da rilevarsi che si dovranno curare ulteriormente le forme di produzione in maniera tale che ogni produttore possa presentare il suo prodotto come un qualcosa di unico legato alle particolari caratteristiche organolettiche del  terreno dove sono impiantate le viti..
Per raggiungere questo obiettivo, che consentirebbe risultati inimmaginabili, il livello culturale di chi svolge la nobile attività di viticultore dovrà crescere ulteriormente, così come è accaduto in Francia già da tempo e in Piemonte e Toscana in tempi più recenti. Così, solo per fare alcune considerazioni anche di valore ambientale, dovranno assolutamente essere sostituiti gli antiestetici e forse inquinanti pali di cemento che sostengono le viti, con quelli tradizionali di legno.
Analogo sforzo dovrà essere effettuato per quanto riguarda la conservazione del vino, dalle botti in vetroresina e d'acciaio a quelle di legno o di altro materiale naturale, che meglio consenta la maturazione, conservazione e aromatizzazione del pregiato nettare piceno.
Così potrà verificarsi quanto accaduto nel Distretto Culturale della Val Di Cornia in Toscana, dove, prima della realizzazione del Distretto, i produttori di vino si accontentavano di venderlo sfuso ad un prezzo minimo, mentre ora, migliorata la qualità, il prodotto viene venduto ad un prezzo di gran lunga superiore, favoriti in ciò dall'immagine del Distretto.
Quindi, una minore produzione, ma tanta ricchezza in più e maggiore occupazione per il territorio.

Il sistema dell'ospitalità            
                                                  
La valorizzazione in senso ampio delle risorse culturali del Distretto Culturale assume una particolare importanza nel settore dell'ospitalità.
Attualmente le strutture ricettive presenti nel comprensorio di Ascoli non risultano particolarmente numerose e non sembrano idonee a soddisfare in maniera adeguata l'eventuale auspicabile aumento di domanda. Ciò risulta vero, in particolare, per quanto riguarda l'ospitalità di gruppi numerosi in visita alla città e al territorio.
Molti investimenti, pertanto, dovranno essere effettuati per dare delle risposte positive al sicuro progressivo aumento di domanda, che si verificherebbe nel caso si dovesse finalmente adottare il progetto del Distretto Culturale.
Deve, peraltro, riconoscersi che parte dei nuovi esercizi inaugurati recentemente nel comune capoluogo e in alcune località vicine rispondono a quei criteri di personalizzazione e autenticità delle strutture che si presuppongono in un contesto che vuole privilegiare la valorizzazione delle risorse tipiche locali. Trattasi, infatti, di palazzi e ville nobiliari abbandonate e in forte stato di degrado, ristrutturate sapientemente per fornire ospitalità turistica di qualità ai visitatori.
Si è evitato, quindi, la realizzazione di strutture anonime, decontestualizzate e non rispecchianti la storia e l'anima stessa del territorio.
È lo stesso criterio adottato per il piccolo Ostello della Gioventù, peraltro molto frequentato, che utilizza alcuni ambienti del Palazzetto Longobardo e quindi un sito dotato di particolare fascino, che lascia un ricordo indelebile nei giovani ospiti.
È quanto avviene, anche, per le numerose strutture di “B&B”, che consentono agli ospiti di trattenersi in edifici del centro storico con camere arredate con mobili d'epoca, sovente affrescate e a immediato contatto con i luoghi più fascinosi del centro storico cittadino.
Analogo discorso va fatto per le strutture agrituristiche, sistemate in antichi casolari ristrutturati, a pieno contatto con la natura, in luoghi intatti e preziosi oppure, come nel caso di Villa Cicchi, in una villa arredata con mobili d'epoca, tale da potersi definire un vero e proprio agriturismo “di charme”. Un fatto è certo, questi esercizi così preziosi, che rispecchiano la cultura e le tradizioni del territorio, riscuotono un grande successo e sono dei veri e propri ambasciatori del nostro paese.
Pur ciò riconosciuto, rimane la necessità di ampliare la consistenza e il numero delle strutture alberghiere ed extra alberghiere per poter essere pronti ad intercettare il sicuro aumento delle correnti di visitatori, predisponendone almeno alcune per ospitare  i gruppi organizzati.
Un discorso a parte va fatto per quanto riguarda la realizzazione di un fantastico “Albergo Diffuso”, che consentirebbe l'utilizzazione intelligente dei tanti casolari presenti nel territorio agricolo del comprensorio piceno e delle tante unità abitative, per lo più abbandonate, presenti specie nelle frazioni dei centri della zona montana.
Molti casolari vengono attualmente acquistati, per lo più da stranieri, che li ristrutturano e ne fanno un buon “retiro” senza peraltro che si stabiliscano delle relazioni con le comunità locali, con la cultura e le tradizioni del territorio. Insomma un “Chianti share” in piccolo, una soluzione che non appare del tutto positiva.
Le abitazioni dei borghi e frazioni della zona montana vengono invece per lo più ristrutturati da ex abitanti del luogo emigrati nella grandi città, in genere Roma, ed utilizzati come seconde case per un periodo limitato di tempo.
Nell'ambito del progetto del Distretto Culturale si dovrebbe, invece, privilegiare la realizzazione di un grande Albergo Diffuso, favorendo il recupero dei casolari e delle case dei borghi montani da inserire in una rete in grado di fornire agli ospiti oltre ai servizi del pernottamento, una serie di altri servizi che favoriscano efficaci rapporti di scambio culturale e la fruizione attiva delle risorse del territorio, da quelle paesaggistiche, a quelle artistiche, enogastronomiche oltre al godimento dei beni del settore agroalimentare, con partecipazione eventuale alle attività che questo richiede.
Un discorso analogo va fatto per il settore della ristorazione. Anche in questo caso, oltre alla riscoperta e valorizzazione delle più autentiche tradizioni enogastronomiche del territorio, si dovrà evitare la realizzazione ed utilizzazione di strutture ed edifici anonimi, decontestualizzati e per niente legati alla tipica tradizionale tipologia edilizia ed architettonica del territorio.
Insomma, si dovrà cercare di seguire l'esempio di alcuni esercizi già attivi nel centro storico del comune capoluogo e in alcune località del comprensorio.
È certo che una più attiva politica in questo campo contribuirebbe certamente a migliorare l'immagine della città e del territorio con benefici effetti sullo sviluppo turistico e sulla migliore soddisfazione degli ospiti.

Le infrastrutture  e i sistemi di collegamento   
                                                          
Nel periodo del suo più grande splendore Ascoli era il punto di passaggio dei collegamenti est-ovest e nord sud.
La città, infatti, era ricca di ponti, che consentivano l'attraversamento dei suoi corsi d'acqua, contraddistinti da scapate ripide e profonde.
Ponti non esistevano, invece, sulla costa paludosa,  oltre che pericolosa per la possibile aggressione da parte di   briganti, pirati o saraceni.
Come ogni città luogo di traffici e transiti di persone, Ascoli trasse benefici da queste caratteristiche, che favorirono lo sviluppo di attività, commerci, conoscenza e ricchezza.
Poi, progressivamente, la centralità del capoluogo si è ridotta e i traffici si sono spostati sula costa. Mentre la Salaria, non  ammodernata, perdeva la sua antica vocazione di veloce collegamento con il Tirreno e Roma.
La situazione della città e del territorio, pur con alcuni limitati miglioramenti, rimane critica. La Salaria, migliorata in molti tratti, presenta ancora molti chilometri di percorso accidentato, stretto e pieno di curve. Analoghe caratteristiche presentano gli assi viari di collegamento con la parte nord interna del territorio, cosa che indiscutibilmente ha favorito, forse, il distacco del Fermano, cosi come il collegamento viario con il Sud ed in particolare con Teramo, che, pur distante non più di trenta chilometri, richiede non meno di un ora di tempo per la copertura del percorso, dove si contano circa cento curve. Insomma una strada pericolosa e non percorribile. Migliorati sono invece i collegamenti con la costa adriatica, raggiungibile con una superstrada, con la vecchia Salaria e con la cosiddetta strada delle bonifica, realizzata a sud del Tronto in territorio abruzzese.
Rimane altresì in esercizio la linea ferroviaria, non ancora completamente ammodernata, che collega Ascoli con San Benedetto del Tronto.
È evidente la necessità di dotare il territorio del Distretto di migliori infrastrutture di collegamento. In particolare sarebbe vitale per la città e il territorio la realizzazione della Ferrovia dei Due Mari dall'Adriatico al Tirreno. Questa infrastruttura, che tra l'altro consentirebbe anche il collegamento delle città d'arte  da Ascoli ad Androdoco, Rieti, Perugia, Arezzo e Firenze, ridarebbe la centralità perduta ad Ascoli e favorirebbe uno sviluppo dei traffici e del turismo inimmaginabili. In attesa che questo sogno si realizzi, si dovrebbe, nel frattempo, lottare almeno per il collegamento ferroviario dalla costa sino ad Amatrice, realizzando, in attesa della Ferrovia del Due Mari, quella dei Due Parchi. Questa infrastruttura consentirebbe un collegamento eco-compatibile e pulito di tutta la costa adriatica, da Rimini a Pescara, ai due Parchi e rappresenterebbe un notevole elemento di attrattiva per i milioni di turisti che frequentano, durante la stagione estiva, la riviera adriatica. L'infrastruttura potrebbe,  peraltro, essere utilizzata anche dai numerosi abitanti della costa negli altri periodi dell'anno per visitare i parchi, godere degli splendidi paesaggi montani così come, nel periodo invernale, delle stazioni sciistiche presenti nella zona.
         
LE PROCEDURE PER LA REALIZZAZIONE DEL DISTRETTO CULTURALE  
                                 
La realizzazione del Distretto Culturale presenta, indubbiamente, elementi di  notevole complessità e difficoltà. Il primo è rappresentato dalla difficoltà di comprensione del concetto di Distretto e delle sue caratteristiche. Altro è quello rappresentato dallo scetticismo circa il conseguimento dei   risultati positivi, che, in genere, vengono  indicati  come ottenibili dai promotori e sostenitori di questa innovativa idea.
Come è noto, il Prof. Pietro A. Valentino, docente di Economia presso la Facoltà di Economia e Commercio  della Università “ La Sapienza “ di Roma, sostiene che  la realizzazione di un Distretto Culturale consentirebbe la creazione di circa 1500 posti di lavoro, un numero effettivamente enorme, che dovrebbe  accendere l'interesse e il sostegno degli amministratori locali.
Invece rimangono titubanze e scetticismo, ed anche nei luoghi, dove si è dato avvio al processo, spesso non si è del tutto consequenziali nella realizzazione pratica degli indirizzi di comportamento che il progetto elaborato presuppone.
Può darsi che ciò sia in parte conseguenza dell'indicazione del principio della “tutela” come elemento informatore della filosofia del Distretto Culturale, principio, che come è purtroppo noto, non gode di molta considerazione nel nostro amato paese.
Un fatto è comunque certo: se si procede ancora con interventi puntuali, estemporanei, scoordinati, frutto sovente della politica delle emergenze o degli eventi, non si riesce a fare molta strada. Si dilapidano risorse  e i frutti che si raccolgono sono limitati.
Nel caso della realizzazione del progetto del Distretto Culturale, c'è invece la reale possibilità di invertire il senso di marcia, di porsi ambiziosi obiettivi e, comunque, c'è la reale possibilità di migliorare, come che sia, la qualità del territorio, la fruibilità delle risorse, creando almeno potenzialmente le condizioni per aumentare la ricchezza e  il livello di occupazione specie delle giovani generazioni.
È probabile che l'adozione di queste complesse procedure siano favorite dalla presenza, più o meno elevata, delle famose TRE T indicate dal Prof. Richard Florida e cioè dalla presenza di TALENTO, TECNOLOGIA, TOLLERANZA, a cui sarebbe opportuno aggiungere una quarta T, intesa come TERRITORIO, ed una E,  intesa come ENTUSIASMO.
Un fatto è certo, tutti i paesi in cui le tre T sono presenti in maniera elevata sono caratterizzati da un alto livello di sviluppo, da una  piena occupazione, da un'elevata qualità delle vita oltre a presentare casi ed esempi concreti e positivi di ideazione e realizzazione di Distretti Culturali.
Si tratta, per lo più, di paesi del Nord Europa, che, forse, non sarebbe male imitare invece di continuare a trastullarci con le volgarità dei “grandi fratelli” o con l'ignominia dei “pacchi ripieni di denaro”.
Circa le procedure per la realizzazione del Distretto deve in primo luogo precisarsi che l'iniziativa deve partire da un  ente locale, in genere la Provincia, che può fare la scelta di avviare questo complesso processo.
È evidente la necessità del coinvolgimento di tutti i comuni presenti  nei confini del proposto Distretto.
Il progetto potrà essere elaborato da una organizzazione esterna, come per esempio l'Associazione Civita, particolarmente competente in materia, che, tra l'altro, ha già elaborato vari progetti tra cui quello del Val di Noto, che, forse conviene ricordalo, ha favorito l'inserimento di quella località nell'elenco dei Siti patrimonio dell'Umanità dell'Unesco.
Il Progetto può anche essere elaborato direttamente dall'ente locale promotore, che conferisce  l'incarico di coordinamento ad un esperto, quale potrebbe essere per esempio il Prof. Valentino, che utilizza per la raccolta dati, l'elaborazione di strategie, l'indicazione di obiettivi, giovani del posto, che così acquistano una grande professionalità e rimangono sul posto per gestire positivamente e correttamente i processi ambiziosi e complessi connessi alla fase concreta della realizzazione del Distretto.
La fase di gestione della realizzazione del Distretto Culturale richiede costanza di comportamenti, provvedimenti consequenziali, apertura mentale, spirito innovativo, creatività, capacità di usare correttamente le nuove tecnologie, attitudine ad accogliere esperienze ed intelligenze esterne, accettazione delle novità, rispetto delle caratteristiche più vere e autentiche del territorio e, naturalmente, entusiasmo.
Insomma proprio le quattro T e la E sopra indicate.
Il  Prof. Valentino parla della necessità di una Magistratura, che potremmo indicare anche diversamente, e comunque di una struttura che sia dotata di poteri di supremazia per guidare, efficacemente, il processo di realizzazione del Distretto.
Si dovrà trattare chiaramente di una struttura leggera, non burocratica, dotata di forti professionalità, per assistere gli operatori pubblici e privati nelle varie fasi di realizzazione del Distretto.
In particolare per indicare gli obiettivi, gli strumenti finanziari utilizzabili, le leve fiscali adottabili, le forme di finanziamento possibili.
Questa struttura dovrà far capo all'ente locale che si pone come soggetto attivo per la realizzazione del Distretto.
È evidente l'indispensabile collaborazione di soggetti privati nella realizzazione del Distretto, siano essi operatori del campo della ristorazione, della residenzialità, del settore agroalimentare o dell'artigiano.
Le offerte di servizi sul territorio potranno essere assicurati in vari modi. Si può pensare a fondazioni, a consorzi di imprese, a forme di cooperazione, a società con partecipazione pubblico-privata,  etc.
Come esempio si può anche far riferimento a quello che è stato realizzato nel Distretto della Val di Cornia. Qui è stata creata una Società pubblico-privata, partecipata dai Comuni dell'area del Distretto, che gestisce i sei parchi creati per la gestione e fruizione delle risorse culturali del territorio. Questa società, che tra l'altro ha consentito la creazione di un notevole numero di posti di lavoro, dopo alcuni anni di rodaggio, in cui il deficit non superiore al 10 15 % del bilancio è stato ripianato dai comuni partecipanti, ha raggiunto il pieno pareggio, addirittura producendo degli utili. Un accorgimento è stato quello di consentire di ripianare con l'attivo dei parchi più frequentati, l'eventuale deficit di quelli che producevano meno utili.
Comunque i modi di intervento sono vari e verranno indicati meglio da chi provvederà ad elaborare il progetto di Fattibilità del Distretto. Ciò che conta, almeno per quanto riguarda la nostra proposta, è tentare di far comprendere la grande opportunità del Distretto Culturale, specie per una zona come la nostra, che, indiscutibilmente, attraversa un periodo di crisi, che induce i giovani più preparati, ad abbandonare la città rendendola sempre più povera di energie e di speranze.

Il Distretto Culturale: Una collezione privata e il “laboratorio Ascoli”                           
Il processo di valorizzazione in senso ampio del comprensorio di Ascoli potrà essere favorito, ulteriormente, da una serie di iniziative realizzabili nel comune capoluogo dove sono presenti già attualmente manifestazioni, istituzioni, attività culturali, eventi, oltre ad una serie di contenitori, per lo più vuoti, che potrebbero essere utilizzati in maniera ottimale per conseguire risultati  particolarmente positivi.
Si può parlare di un vero e proprio laboratorio”, che consenta la messa in rete di tutte queste energie per  ottenere  risultati entusiasmanti.
Anche una collezione privata di opere d'arte, come quella di Serafino Fiocchi, di cui è stata curata la catalogazione dal Dr. Francesco De Carolis (si veda la relazione allegata) potrebbe essere inserita in questo progetto innovativo.
La collezione, pur restando privata, potrebbe essere utilizzata dal Comune, con opportune convenzioni, per la  realizzazione  di mostre a tema periodiche in modo da porsi come richiamo stabile per i tanti estimatori di queste forme d'arte.
Le opere esposte potranno essere peraltro progressivamente arricchite favorendo le capacità espressive dei numerosi artisti del posto, consentendo a questi e ad altri provenienti da fuori lo svolgimento di stage in un contenitore come il complesso di San Pietro in Castello, da far diventare un vero e proprio laboratorio artistico.
In altri termini, questo spazio pregiato della città dovrebbe essere recuperato, cosi come proposto dalla sezione di Italia Nostra in occasione di un convegno dedicato all'argomento, destinando la Chiesa, ora chiusa al culto, ad un vero e proprio Museo delle riproduzioni delle opere di Carlo Crivelli e dei crivelleschi, che, realizzate nel territorio, ora sono disperse ai quattro angoli della terra. Questa operazione, tra l'altro, non contrasterebbe con l'idea di assegnare la chiesa a qualche scuola di teatro per lo svolgimento di prove e le attività teatrali, anche se sarebbe sempre opportuno, prima di concedere beni del Comune, effettuare delle gare pubbliche per individuare  i soggetti che propongono le soluzioni migliori. La parte  più innovativa della proposta riguarda gli altri edifici presenti nello storico sito, da utilizzare come residence per ospitare artisti, con annesso  spazio  per una mensa e come laboratorio vero e proprio per lo svolgimento di corsi di pittura, di scultura, teatrali, di perfezionamento musicale, etc, con l'individuazione di spazi per l'esposizione delle opere prodotte e di un teatro all'aperto per  manifestazioni teatrali musicali ed artistiche in genere.
Per queste iniziative potrebbero essere utilizzate, probabilmente, anche alcune delle chiese chiuse al culto, prevedendo per le altre la realizzazione di un Percorso della memoria spirituale della città, consentendone così la fruizione ed evitando che rimangano chiuse in modo da dotare la città di un altro percorso culturale di indubbio valore.
Un altro laboratorio è quello che si propone per il Teatro Filarmonici. La realizzazione di un doppione del Ventidio Basso per ospitare spettacoli di minore importanza, infatti, appare poco economica e non conveniente, tenuto conto che già ora il Teatro Maggiore viene utilizzato per un numero limitato di giorni all'anno e quindi con grande dispendio di risorse. Il Filarmonici dovrebbe diventare, invece, un laboratorio multimediale, attrezzato per registrazioni teatrali e musicali, per  collegamenti  e trasmissioni a distanza in entrata ed in uscita con altri teatri o con sedi di conferenze, per  concerti dedicati alle scuole mediante la diffusione di immagini
e di registrazioni musicali, oltre che per concerti dal vivo e manifestazioni teatrali di nicchia, riservate ad un pubblico non particolarmente numeroso.
Queste attività consentirebbero l'utilizzazione del teatro per un numero rilevantissimo di giorni, permettendo alla struttura di diventare un elemento attivo della cultura cittadina, oltre a favorire la crescita di nuove professionalità e l'occupazione  di molti giovani.
Rimane, peraltro, da individuare un nuovo sistema di ideazione e organizzazione delle manifestazioni culturali, superando il carattere episodico di quelle attuali, frutto sovente di una carente attività di coordinamento. Appare necessaria, invece,  una cabina di regia, che consenta, tra l'altro, l'individuazione di un settore che possa rivelarsi elemento di qualificazione e specificità delle proposte. Queste ultime dovranno consentire, tra l'altro, la valorizzazione di esperienze e professionalità locali, convalidando in questo modo l'idea e il progetto del laboratorio Ascoli”.
Favorirà la gestione dell'innovativo processo l'eventuale creazione di una Fondazione, che si possa porre come soggetto coordinatore, in grado di fornire indirizzi, individuare forme di finanziamento, dare sostegno alle realtà già esistenti ed operanti nel territorio (dal Teatro Ventidio Basso con le sue varie iniziative, ai numerosi Gruppi Teatrali, al Festival Ascoli Estate, all'Ascoli Piceno Festival, al Cotton Club, alla Società Filarmonica, all'Istituto Spontini,...).
Tornare all'idea innovativa di Ascoli città della Musica, che la qualifichi come un luogo dove proporre iniziative di qualità, dove diffondere la cultura musicale in tutti gli ambienti sociali e in tutto il territorio, favorire lo studio delle discipline musicali e l'organizzazione di corsi di perfezionamento coinvolgendo artisti di livello internazionale, dove prevedere manifestazioni in tutti i periodi dell'anno sì da creare le condizioni per attirare le numerose correnti di estimatori di queste espressioni artistiche rendendola una meta irrinunciabile come la famosa Salisburgo (valorizzando ulteriormente il Festival residenziale dell'Ascoli Piceno Festival, incrementando i concerti dei Percorsi Piceni, prevedendo un Festival della Musica in Villa, utilizzando le tante Ville splendide di cui è ricco il territorio piceno, prevedendo un Festival delle Orchestre Sinfoniche Giovanili con concerti nelle piazze cittadine e nelle fascinose cave del travertino del Colle San Marco, veri e propri teatri all'aperto).
Naturalmente rimane fondamentale in questa idea di sviluppo il consolidamento dei corsi universitari, già attualmente attivati ad Ascoli. Si ritiene, peraltro, che probabilmente non sia  necessario  attivarne altri  relativi a diversi settori di studio.
Mentre sarebbe quanto mai opportuno approfittare della fortunata presenza di corsi riguardanti lo studio dell'Architettura per realizzare ad Ascoli il Politecnico delle Discipline Architettoniche, attivando nella città e nel territorio tutti i corsi di laurea, post laurea e masters dedicati a questo settore di grande caratterizzazione, facendo diventare la città uno dei punti di riferimento internazionali di queste discipline di studio.
Se ciò avverrà, avremo implicitamente realizzato ad Ascoli insieme al Distretto Culturale Tradizionale, anche quello Evoluto, coinvolgendo grandi professionalità ed intelligenze e creando notevoli possibilità occupazionali.

CONCLUSIONI                   
Al termine di questo lungo discorso appare opportuno formulare alcune proposte conclusive, che possano  apparire come una sintesi di quanto sopra esposto.
La città e il territorio piceno devono essere visti come un grande fascinoso Parco Culturale, per la cui tutela e valorizzazione si dovrà prevedere un sistema di qualità integrale”.
L'immagine di questo sistema rimane fondamentale. Occorrerà, quindi, individuare un marchio che immediatamente consenta la percezione evocativa del territorio di riferimento del Distretto.
L'intelligenza e il talento di chi elaborerà il relativo progetto consentiranno l'individuazione e la definizione delle caratteristiche di questo marchio, che diventerà  lo strumento promozionale più efficace delle ricche risorse culturali del territorio, in  grado di promuoverne la loro conoscenza e contribuire alla loro affermazione nella difficile competizione internazionale.
Non appare fuori luogo , al termine di questa lunga relazione, citare due versi famosi del padre Dante, che appaiono  come un severo monito ad essere guidati dalla virtù, ad  avere sete di conoscenza, a non chiudersi nell'immobilismo e nell'apatia:

                                                    “ Fatti non foste a viver come bruti,
                                                      ma per seguir virtute e canoscenza

......... Nella speranza che questo monito contribuisca a far  affrontare con maggiore determinazione e  coraggio i gravi problemi di ruolo della città e del suo comprensorio.


  Testo a cura del Prof. Gaetano Rinaldi
  Presidente della Sezione di Ascoli Piceno di Italia Nostra


Ascoli Piceno, li 12 dicembre 2009

Ringraziamenti.

Le proposte sono state elaborate sulla base della conoscenza delle risorse del territorio, utilizzando i fondamentali contributi, forniti per la comprensione e conoscenza del concetto di Distretto Culturale, dal Prof. Pietro A. Valentino. L'autore della relazione non può, quindi, non porgergli i più sentiti ringraziamenti per la grande disponibilità sempre mostrata nei confronti della Sezione Ascolana di Italia Nostra, anche in occasione di una Sua  generosa partecipazione ad un incontro dedicato a questa complessa problematica.


FRANCESCO DE CAROLIS – LA COLLEZIONE FIOCCHI

L’origine della collezione di opere d’arte di Serafino Fiocchi ha avuto luogo all’inizio degli anni Cinquanta e si caratterizza per una eterogeneità di ambiti. Infatti la raccolta si distingue per una varietà molto ampia di oggetti, dalle pitture alle sculture; dai disegni alle incisioni, tutti realizzati da artisti che spesso sono differenti tra loro, tanto nello stile che nella formazione.
A tal proposito, la collezione presenta opere di numerosi artisti che nel corso degli anni hanno riscosso numerosi apprezzamenti e riconoscimenti, anche a livello internazionale, ma che quando le loro opere sono entrate nella raccolta di Fiocchi stavano ancora muovendo i primi passi del loro impegno artistico.
Da questo punto di vista si può notare anche il carattere sperimentale dell’azione collezionistica, riuscendo così a creare un ambito che è quello della collezione di pezzi molto singolari , o addirittura “prototipi”, delle carriere di diversi artisti.
La raccolta presenta pezzi che testimoniano, dunque, moltissimi dei movimenti che hanno caratterizzato l’arte italiana della seconda metà del Novecento: ci sono esempi di artisti della Scuola Romana di Piazza del Popolo e della Pop Art italiana come Schifano, Festa e Angeli, oppure di artisti locali che hanno riscosso comunque una grande apprezzamento oltre i confini regionali, come Trotti, Cucchi e Pericoli. Per alcuni di questi, il cospicuo numero di opere presenti nella collezione risulta essere un piccolo nucleo a se stante che ben evidenzia tutto il percorso creativo, impreziosendo ulteriormente l’attività di collezionista di Fiocchi.
Per quanto riguarda le opere di pittura, la collezione annovera opere che vanno da dimensioni molto ridotte fino ad esempi di grandissime dimensioni con soggetti che, così come per la varietà delle misure delle opere (per lo più tele, ma con la presenza anche di tavole o di supporti polimaterici come nel caso di alcuni pezzi riconducibili ad artisti vissuti nel pieno del grande successo creativo dell’Arte Povera) vanno dall’astrazione essenziale ai soggetti religiosi. Dal punto di vista dei soggetti, quindi, la collezione  non ha particolari restrizioni, ma risulta molto compiuta, anche perché determinate tematiche, per esempio le già citate opere d’arte astratte o d’arte religiosa, coprono ampiamente l’arco temporale degli ultimi sessant’anni.
Questo discorso è applicabile allo stesso modo per i numerosissimi disegni e incisioni della raccolta. Soprattutto per i disegni, pezzi unici spesso legati anche ai frequenti contatti del collezionista con gli autori, la loro conservazione in una raccolta di queste dimensioni diventa mezzo interessantissimo d’indagine storica su movimenti e singole personalità, come ad esempio nel caso di alcuni pezzi del pittore maceratese Wladimiro Tulli, la cui lunghissima carriere va dalla grande stagione del Secondo Futurismo fino ai contatti con i movimenti e i più illustri personaggi del secondo dopoguerra.
Per quel che riguarda le opere di grafica, numerose sono le stampe ad acquaforte dei più famosi artisti italiani, ma non mancano allo stesso modo serigrafie di protagonisti assoluti dell’arte internazionale. Anche per questo genere artistico i soggetti sono i più vari; tutti ampiamente rappresentati.
La scultura si distingue nella collezione per la varietà di materiali con le quali sono realizzate le opere: dalla pietra (marmo, travertino, ecc…) ai metalli, fino al legno. Come per gli altri generi, anche in scultura sono presenti i maggiori nomi dell’arte italiana e internazionale, con pezzi anche di autori giapponesi. Sulla stessa traccia programmatica di collezionismo è la raccolta di ceramiche: opere molto spesso diverse per tipologia e gusto.
Da non poter dimenticare è infine una sezione della vastissima collezione riservata ad una serie di opere in pittura tutte delle stesse dimensioni e tutte commissionate espressamente da Serafino Fiocchi tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta a numerosi artisti italiani e stranieri, che hanno eseguito ognuno un pezzo di questa importante sezione della vasta raccolta. Su questa singolare parte della collezione sono state dedicate diverse mostre in numerosi e prestigiosi spazi espositivi italiani